Quando ero piccolo, i capitoli di Harry Potter che mi piacevano meno erano quelli relativi alla permanenza di Harry a Privet Drive. Mi facevano arrabbiare così tanto! Col passare degli anni, invece, ho iniziato ad apprezzarli di più, specialmente da un punto di vista psicologico.
Vetri che scompaiono
Ci ritroviamo a dieci anni dopo il ritrovamento di Harry neonato davanti l’uscio di casa Dursley. Non è cambiato granché in casa, tuttavia le foto sul caminetto sono una testimonianza del tempo che è passato.
Dieci anni prima c’era un’infinità di fotografie di quello che sembrava un grosso pallone da spiaggia rosa, con indosso berrettini col pompon di vari colori. Ma Dudley Dursley non era più un lattante e ora le fotografie ritraevano un bambinone biondo in sella alla sua prima bicicletta, sulle giostre, che giocava al computer col padre o che si faceva abbracciare e baciare dalla madre. Nulla, in quella stanza, suggeriva che in casa vivesse anche un altro bambino.
Eppure, Harry Potter abitava ancora lì; in quel momento dormiva, ma non sarebbe stato per molto. Zia Petunia era sveglia e la sua voce stridula fu il primo rumore della giornata.
Già da queste prime frasi si può intuire il ruolo di Harry nella famiglia Dursley: qualcosa da tenere nascosto.
Illustrazione di J. K. Rowling
È il compleanno di Dudley: Harry viene svegliato bruscamente dalla zia, che gli dà subito delle cose da fare.
Il compleanno di Dudley… come aveva potuto dimenticarlo? Si alzò lentamente e cominciò a cercare i calzini. Ne trovò un paio sotto al letto e, dopo aver tolto un ragno da uno dei due, se li infilò. Harry c’era abituato perché il ripostiglio sotto la scala pullulava di ragni, e lui dormiva lì.
Harry dorme in uno stanzino minuscolo e si veste con i vecchi vestiti di Dudley (ovviamente di un’altra misura); in casa viene trattato sia con indifferenza sia con rabbia e disprezzo. Dudley, di contro, è viziatissimo: per questo compleanno riceve ben 37 regali, ma facendo i capricci ne ottiene altri due. La disparità del trattamento tra i due ragazzi è costantemente sottolineata dall’autrice, che dipinge una famiglia altamente disfunzionale.
L’unica cosa che a Harry piaceva del proprio aspetto era una cicatrice molto sottile sulla fronte, che aveva la forma di una saetta. Per quanto ne sapeva, l’aveva da sempre, e la prima domanda che ricordava di aver mai rivolto a zia Petunia era stata come se la fosse fatta.
«Nell’incidente d’auto in cui sono morti i tuoi genitori» gli aveva risposto lei, «e non fare domande».
Non fare domande: questa era la prima regola per vivere in pace, con i Dursley.
La Rowling, in uno scambio di battute apparentemente casuale, getta lì una bomba: i Dursley hanno sempre mentito riguardo la morte dei genitori di Harry, James e Lily. In effetti è complicato spiegare a un bambino che mamma e papà sono morti a causa di un incantesimo di un potente mago oscuro, incantesimo a cui lui è misteriosamente sfuggito: considerate anche che i Dursley odiano tutto ciò che è magico, quindi conversazioni del genere sono fuori discussione.
«Cattive notizie, Vernon» disse. «La signora Figg si è rotta una gamba. Non può prenderselo». E così dicendo, indicò Harry con un brusco cenno del capo.
Quel non può prenderselo in italiano è una finezza: suggerisce quasi che Harry sia un pacco, un oggetto sgradevole da non volere in casa (l’inglese She can’t take him fa riferimento inequivocabilmente a una persona, mentre in italiano può indicare sia persone sia oggetti).
Ogni anno, i Dursley festeggiano il compleanno di Dudley portandolo in giro con un amico; Harry rimane a casa della signora Figg, che non è un personaggio casuale nell’affresco dei personaggi magici della Rowling. L’anziana signora, infatti, è una MagaNò, e collabora con Silente per tenere sott’occhio il ragazzo (come scopriamo nel quinto libro).
«E ora che si fa?» chiese zia Petunia guardando furibonda Harry come se fosse colpa sua. Harry sapeva che avrebbe dovuto dispiacersi per il fatto che la signora Figg si era rotta la gamba, ma non gli fu facile quando si ricordò che ancora per un intero anno non sarebbe stato costretto a vedere Lilli, Baffo, Mascherina e Pallina.
«Si potrebbe provare a telefonare a Marge» suggerì zio Vernon.
«Non dire sciocchezze, Vernon, lo sai benissimo che lo detesta».
I Dursley parlavano spesso di Harry in quel modo come se lui non fosse presente, o piuttosto come se fosse qualcosa di molto sgradevole e incapace di capirli, come una lumaca.
La Rowling è sempre stata molto ironica nei suoi libri. In questo caso possiamo notare un riferimento alla zia Marge, che avrà un ruolo più importante ne Il prigioniero di Azkaban.
«Potreste lasciarmi semplicemente qui» azzardò Harry speranzoso (una volta tanto, avrebbe potuto guardare quel che voleva alla televisione o persino provare il computer di Dudley).
Zia Petunia fece una faccia come se avesse appena ingoiato un limone.
«Per trovare la casa in rovina quando torniamo?» ringhiò.
«Mica la faccio saltare in aria» disse Harry, ma nessuno lo ascoltò.
«Forse potremmo portarlo allo zoo» disse Petunia lentamente, «…e lasciarlo in macchina…»
«Non può restare in macchina da solo. È nuova di zecca…»
Dudley cominciò a piangere forte. In realtà, non stava piangendo; erano anni che non piangeva sul serio, ma sapeva che se contorceva la faccia e si lagnava la madre gli avrebbe dato qualsiasi cosa lui avesse chiesto.
«Duddy tesorino caro, non piangere! Mammina non permetterà che quello ti rovini la festa!» esclamò stringendolo tra le braccia.
«N-n-non… voglio… che… venga… pure lui!» gridò Dudley tra un finto singhiozzo e l’altro. «Lui rovina s-s-sempre tutto!» E lanciò a Harry un’occhiata malevola attraverso uno spiraglio tra le braccia della madre.
Questo dialogo è interessante per due motivi. Innanzitutto, si mette in evidenza la questione del parenting: Dudley sa che, facendo scena, ottiene sempre quello che vuole (se possibile, mettendo Harry in cattiva luce). L’altro elemento degno di nota è che Harry non sa di essere un mago, ovviamente, quindi per lui i timori degli zii sono esagerati: come può un bambino di 10 anni rovinare una casa o una macchina? In realtà, Vernon e Petunia conoscono, seppur vagamente, gli effetti e le conseguenze delle magie (per quanto possano odiarla e negarla di fronte a tutti, sanno che esiste), soprattutto di un bambino che non sa controllare i suoi poteri. La loro paura, quindi, non è del tutto ingiustificata (ovviamente è inammissibile il modo in cui Harry viene trattato). Qualche battuta dopo, il narratore riporta alla memoria alcuni ricordi di Harry relativi a “fatti strani”, di cui il bambino è responsabile ma senza saperlo: un esempio è la ricrescita dei capelli nella notte dopo un taglio selvaggio di Petunia. In un’altra occasione Harry, preso dal panico nel cercare di sfuggire dai bulli, addirittura sembra mettere in atto una Materializzazione e si ritrova sul comignolo della scuola. Chissà se la Rowling, a quei tempi, avesse pensato a questo tipo di magia?
Strada facendo, zio Vernon si lamentava con zia Petunia. A lui piaceva lamentarsi di tutto: i colleghi di lavoro, Harry, il consiglio, Harry, la banca, Harry erano solo alcuni dei suoi argomenti preferiti. Quella mattina aveva scelto di lamentarsi delle motociclette.
«…corrono come pazzi, questi giovani teppisti!» esclamò mentre una moto li sorpassava.
«Anche in un sogno che ho fatto c’era una moto» disse Harry ricordando improvvisamente, «e volava».
Per poco zio Vernon non tamponò la macchina che lo precedeva. Si voltò di scatto e urlò a Harry, con la faccia che assomigliava a una gigantesca barbabietola con i baffi: «LE MOTOCICLETTE NON VOLANO!»
Dudley e Piers repressero una risata.
«Lo so che non volano» rispose Harry. «Era soltanto un sogno».
Ma si pentì di aver parlato. Se c’era una cosa che i Dursley odiavano ancor più delle sue domande era sentirlo parlare di cose che non si comportavano come dovevano, anche se si trattava di sogni o di cartoni animati. A quanto pareva, temevano che si facesse venire in mente idee pericolose.
Il sogno ci ricollega al primo capitolo, quando è Hagrid a portare il neonato Harry dai Dursley con una motocicletta volante. Il povero ragazzo si rende conto che il solo parlare di cose strane suscita dei feedback esagerati negli zii, e che forse è meglio star zitti. Anche qui, non sospetta che dietro ci sia la magia, e attribuisce questa reazione alle “idee pericolose”.
Art by Gabirotcho
Alla fine i Dursley non trovano una soluzione e sono costretti a portare Harry con loro allo zoo. La giornata sembra andare molto bene per Harry, finché non si ritrovano al rettilaio. Qui Harry si mette a… parlare con un boa constrictor. Ovviamente lui non lo può sapere, ma Harry parla serpentese, un retaggio del suo legame particolare con Voldemort. Questa abilità sarà al centro del secondo volume della saga, la Camera dei Segreti; per il momento, è solo una delle cose bizzarre che capitano ad Harry. Piers si accorge della situazione col serpente e Harry viene spinto via: misteriosamente, il vetro scompare del tutto, creando un caos nello zoo. Non succede niente di che, il serpente fugge via e nessuno si fa male, ma i ragazzi erano sotto shock, almeno all’inizio.
In macchina, Piers fa un’affermazione che gli costa una punizione (o quantomeno aggiunge un carico non necessario):
Ma il peggio, almeno per Harry, fu che Piers riuscì a calmarsi quel tanto che gli consentì di dire: «Harry gli ha parlato. Non è vero, Harry?»
Zio Vernon aspettò che Piers fosse uscito di casa prima di cominciare a prendersela con Harry. Era così arrabbiato che parlava a stento. Riuscì a malapena a dire: «Vai… ripostiglio… stai lì… niente cibo» prima di crollare su una sedia, tanto che zia Petunia dovette correre a prendergli un grosso bicchiere di brandy.
L’anomalia di Harry, che i Dursley si sforzano di tenere nascosta, trapela in qualche modo e raggiunge il mondo esterno, in questo caso un amico di Dudley.
Il capitolo si conclude con un amaro riepilogo sui dieci anni trascorsi da Harry in quella casa.
Viveva con i Dursley da quasi dieci anni, dieci anni di infelicità, per quanto poteva ricordare, fin da quando era piccolo e i suoi genitori erano morti in quell’incidente d’auto. Non ricordava di essere stato anche lui nella macchina al momento della loro morte. Talvolta, quando sforzava la memoria durante le lunghe ore trascorse nel ripostiglio, aveva una strana visione: un lampo accecante di luce verde e un dolore bruciante sulla fronte. Quello, immaginava, era stato l’incidente, anche se non riusciva a capire da dove venisse la luce verde. I genitori, non li ricordava affatto. Gli zii non ne parlavano mai e, naturalmente, era proibito fare domande al riguardo. In casa, non c’era neanche una loro fotografia.
Il lampo di luce verde si riferisce alla maledizione Avada Kedavra, lanciata da Voldemort per uccidere la famiglia Potter. È bello vedere questi dettagli, che a una prima lettura non è possibile decodificare con chiarezza (le Maledizioni Senza Perdono saranno oggetto di approfondimenti nel quarto libro, Il Calice di Fuoco).
Quando era più piccolo aveva sognato tante volte che qualche parente sconosciuto venisse a portarlo via, ma questo non era mai accaduto; gli unici suoi familiari erano i Dursley. Eppure, talvolta gli sembrava (o forse sperava) che gli estranei per strada lo riconoscessero. Ed erano degli estranei veramente strani.
Qui Harry riporta una sua fantasia infantile, tenera e ingenua: qualsiasi cosa è meglio di vivere con delle persone come i Dusley. Non lo facevano morire di fare, questo è vero, ma comunque il clima che hanno creato in quella casa era incredibilmente tossico. È dura per lui la consapevolezza di non avere altri parenti, nonostante Harry sia pieno di persone che hanno conosciuto i suoi genitori e che lo riconoscono per strada: questi “estranei veramente strani” non sono altro che maghi (magari in questo gruppo rientrano sia i curiosi, sia quelli messi da Silente per sorvegliare il ragazzo).
A scuola Harry non aveva amici. Tutti sapevano che la ghenga di Dudley odiava quello strano Harry Potter, infagottato nei suoi vestiti smessi e con gli occhiali rotti, e a nessuno piaceva mettersi contro la ghenga di Dudley.
Il mondo di Harry è veramente piccolo in questo momento: non ha parenti, non ha amici, a scuola nessuno si avvicina a lui. Harry è “quello strano”, vestito con abiti fuori taglia e gli occhiali rotti. Non ha idea che da lì a breve la sua vita cambierà per sempre.
Harry nel ripostiglio, nell’edizione illustrata da Jim Kay
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[Questo articolo riguarda e celebra l’importanza sociale e letteraria della saga di Harry Potter, ma non sostiene in alcun modo le recenti posizioni transfobiche della scrittrice]
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