Recensione – Tokyo Express di Matsumoto Seicho

Dopo la semi-delusione de La ragazza del Kyushu, ho deciso di leggere l’altro libro di Matsumoto Seicho tradotto in Italia: Tokyo Express. Si tratta di un giallo molto breve e aggiungo: è incredibilmente giapponese.

Scheda del libro

Titolo Tokyo Express
Autore Seichō Matsumoto
Data 1957
Pubblicazione italiana 2018
Editore Adelphi
Traduttore Gala Maria Follaco
Titolo originale 点と線 [Ten to sen]
Pagine 175
Reperibilità Reperibile online e in libreria

Trama

All’alba, in una cala rocciosa della baia di Hakata, vengono ritrovati due corpi: subito la polizia pensa che si tratti di una coppia di amanti che si è suicidata. Tuttavia qualcosa non torna a Torigai Jutaro, un anziano investigatore, e al suo collega Mihara Kiichi, il quale decide di indagare più a fondo. Sayama Ken’ichi, una delle vittime, era uno dei principali testimoni su un caso di corruzione che coinvolgeva molti pezzi grossi del Ministero X: dalla sua morte, quindi, erano in molti a trarne vantaggio. I due investigatori quindi si impegnano a ricomporre tutti i pezzi del puzzle: questi due giovani sono stati uccisi insieme per simulare un suicidio d’amore? Attorno a questo mistero ruota tutto Tokyo Express.

I gialli giapponesi spesso sono molto diversi dai gialli occidentali: il mistero qui non riguarda chi, tra i sospettati, è il protagonista del delitto. Infatti il possibile omicida si individua sin da subito (l’autore ci presenta una sola persona, effettivamente): il problema è: come diamine ha fatto? In tal senso, mi ha ricordato un altro romanzo, L’impeccabile.

La storia è ben costruita ed è accattivante, tuttavia presenta un problema per noi italiani: Matsumoto cita moltissime città giapponesi e differenti nomi di treni, che sono al centro della vicenda. Davvero, sono tantissimi nomi! Ci si può imbattere in un dialogo di questo tipo:

«Sì, il treno che parte da Keirinjō-mae alle nove e ventisette. Impiega otto minuti appena ad arrivare fino a qui». Keirinjō-mae si trovava a Hakozaki, nella parte più orientale di Hakata, dove si era combattuta un’antica battaglia ai tempi dell’invasione mongola, e nei pressi del fiume Tatara c’erano ancora i resti delle fortificazioni. Oltre la pineta si vedeva il golfo di Hakata.

***

20 gennaio: partenza da Tokyo-Haneda alle 15:00, arrivo a Fukuoka-Itazuke alle 19:20 (poi va a Kashii e forse si ferma a dormire nel centro di Fukuoka). 21 gennaio: partenza da Itazuke alle 8:00 e arrivo a Haneda alle 12:00; partenza da Haneda alle 13:00 e arrivo a Sapporo-Chitose alle 16:00; partenza da Sapporo (treno locale) alle 17:40 e arrivo a Otaru alle 18:44; partenza da Otaru alle 19:57 (Marimo) e arrivo a Sapporo alle 20:34 (raggiunge la sala d’attesa e incontra Kawanishi). 21, 22 e 23 gennaio: soggiorna al Marusō di Sapporo, poi torna a Tokyo.

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Ovviamente non si tratta di un errore di per sé, però tenete in considerazione che potrebbe essere difficoltoso ricordare tutti i passaggi e alcuni dettagli della vicenda.

Ambientazione

Tokyo Express ci dà la possibilità di indagare un po’ nella società giapponese anni ’50: per un appassionato di sociologia e psicologia come me, questi spunti sono molto interessanti. L’autore ci mostra una piccola scena in cui l’anziano Torigai Jutaro interagisce con la moglie a cena.

Torigai Jūtarō si sedette a tavola con il viso ancora tutto fumante. Mentre cenava gli piaceva sorseggiare lentamente due bicchieri di sakè. Davanti a sé aveva un piatto su cui erano disposti dei ricci di mare, sashimi di seppia e del merluzzo essiccato. Aveva camminato tutto il giorno, era stanco. Il sakè gli parve squisito. La moglie stava cucendo un kimono. A giudicare dal colore rosso e dalla fantasia vivace, doveva sicuramente essere della figlia, che era prossima a sposarsi. Il lavoro di cucito sembrava assorbirla totalmente. «Riso» disse lui posando il bicchiere. «Sì» rispose la moglie, e lasciati per un attimo ago e filo, lo servì per poi rimettersi subito a cucire. Cuciva e aspettava che Jūtarō le chiedesse di servirlo di nuovo. «Perché non prendi almeno una tazza di tè insieme a me?». «No, non mi va» gli rispose senza neanche alzare la testa. Jūtarō mangiava il riso e intanto la fissava. Era invecchiata anche lei. Arrivata a quest’età, una donna non ci tiene a fare compagnia al marito mentre mangia.

Degno di nota è l’utilizzo del verbo “servire”, che ai nostri occhi sembra bizzarro ma è assolutamente realistico. Interessante anche il fatto che, al di là di provvedere ai bisogni più urgenti e materiali (il mangiare), il bisogno sociale di contatto e compagnia viene liquidato con un “no, non mi va”. In seguito, sarà lo stesso Jutaro a chiedere alla figlia come si sarebbe comportata in determinate circostanze (una sorta di esperimento per comprendere la “psicologia femminile”).

Conclusione

Tokyo Express è un romanzo interessante, soprattutto dalla prospettiva di un lettore italiano: fondamentali sono le coincidenze dei treni giapponesi, qualcosa che noi facciamo fatica a immaginare. Inoltre, ho apprezzato il finale molto duro e per niente edulcorato. Metto sotto spoiler giusto qualche considerazione finale indirizzata a chi il libro lo ha già letto.

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Verso metà libro il detective si rende conto che il principale sospettato potesse muoversi non soltanto col treno ma anche con… l’aereo!!! Ma seriamente? Io avevo dato per scontato che fosse un’ipotesi da scartare per una questione di epoca, ma a quanto pare semplicemente non ci aveva pensato! Uno scivolone che mi ha fatto sorridere. Altra considerazione, questa volta sul finale: i due assassini, Yasuda Tatsuo e sua moglie Ryōko, si suicidano nella loro villa. “Non so come sarebbe andata a finire se ci fosse stato un processo. E a proposito di prove, non ne avevamo neanche a carico di Ishida. In seguito allo scandalo è stato trasferito a un’altra sezione che, pare, è anche migliore della precedente. Cosa vuole che le dica, il mondo dei funzionari ministeriali è pieno di misteri. C’è da aspettarsi che in futuro diventi direttore generale, poi sottosegretario e alla fine magari entri anche in parlamento. Il tutto a scapito dei dipendenti sacrificati alla sua ambizione. Quando un superiore mette gli occhi su di loro, quelli si sentono al settimo cielo. La «carriera» è veramente una cosa triste. Ah, dimenticavo: il segretario Sasaki Kitarō, che per aiutare Ishida si era prestato a fargli da complice, è diventato capo di sezione. E noi, adesso che i coniugi Yasuda sono morti, non possiamo fare altro che stare a guardare.” Un finale molto amaro, per quanto realistico: i mandanti dell’omicidio non verranno mai puniti, ma anzi vengono promossi ad una carica migliore.

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